7 settembre 2022
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Segnali da Jackson Hole

 

Da inizio anno i mercati finanziari hanno sofferto da una combinazione di shock geopolitici quali la guerra in Ucraina, le tensioni Usa e Cina su Taiwan, l’impennata dei tassi di inflazione, e una conseguente rigidità delle banche centrali, che ha provocato una rapida restrizione monetaria. In questo contesto sia i mercati azionari che obbligazionari hanno subìto una straordinaria pressione al ribasso accompagnata da alta volatilità. A partire da luglio, una revisione del ribasso ha premesso un recupero sulla possibilità che le banche centrali potessero rivedere i loro aumenti dei tassi a fronte di un picco dell’inflazione e dai segnali di un aumento delle probabilità recessive a dodici mesi. La progressione del recupero si è spenta durante l’incontro di fine agosto delle banche centrali, in occasione del Jackson Hole Economic Policy Symposium. Al simposio annuale di politica monetaria, la Federal Reserve (Fed) statunitense ha chiaramente confermato che inasprirà la sua politica monetaria fino a quando l'inflazione non sarà vicina all'obiettivo del 2%, rimanendo a tassi elevati per un considerevole periodo di tempo. Il presidente della Fed Jerome Powell ha parlato esplicitamente della necessità di allineare domanda e offerta, anche a discapito della crescita, senza peraltro fare riferimento a condizioni e valutazione degli asset finanziari. Gli operatori hanno reagito negativamente alle intenzioni della Fed abbassando i ritorni attesi sia su azioni che obbligazioni.

Focalizzati sull'inflazione

Se quindi il tema centrale è quanto potrà essere prolungato il periodo restrittivo, la vera questione si sposta inesorabilmente sulle prospettive di riduzione dell’inflazione e della possibile ondata recessiva. La banca centrale europea (BCE) sembra adottare lo stesso approccio; i tassi di interesse saranno probabilmente aumentati in modo deciso nell'Eurozona, nonostante i dati economici non risultino brillanti, al contrario, e le interruzioni dell'approvvigionamento energetico spieghino la maggior pressione sull'inflazione. La BCE vuole quindi riportare rapidamente l'inflazione sotto controllo tanto che Isabel Schnabel ha ribadito a Jackson Hole che le aspettative di inflazione si stanno disancorando, minando la fiducia nelle autorità monetarie. Con un aumento del tasso sui depositi tra 50 e 75 bps nella riunione di settembre le probabilità indicano una fine d'anno con tassi al di sopra dell'1%; i ‘falchi’ dell'Executive Board stanno chiaramente prevalendo, sapendo che i tempi di un intervento restrittivo sono limitati prima che l’economia dell’area Euro cada in recessione. Proprio il rapido aumento dei prezzi del gas naturale e la bassa fiducia di consumatori e imprese trova aumentate la probabilità di una prossima recessione. In questo contesto, le più recenti indicazioni sulle pressioni sui prezzi di beni di consumo e durevoli dovrebbero comunque venir meno man mano gli attriti in corso si attenueranno. Il processo di revisione dei costi è molto evidente nei trasporti. L’indice BDI, Baltic Dry Index che misura i costi del trasporto marittimo, è tornato sui livelli di fine 2020 di 1150 punti, dopo aver toccato un massimo di 5.500 punti ad ottobre 2021. Anche il petrolio sembra essere tornato in modo prevalente sotto i 100 $b, mentre il problema di approvvigionamento sembra restringersi al tema del gas per la dipendenza europea dalle forniture russe.

Fiducia nei paesi produttori

Risulta peraltro difficile scrollarsi di dosso la percezione di non avere ancora raggiunto un picco inflattivo, mentre dalle voci dei banchieri centrali si pensa ad un nuovo regime inflazionistico. Le grandi economie emergenti che hanno fornito manodopera a basso costo sembrano tornate lontane; la pandemia potrebbe aver interrotto un periodo particolarmente lungo di bassa inflazione iniziato negli anni '90 come confluenza di fattori che hanno pesato sulle pressioni sui prezzi. La forza lavoro cinese sta diventando più costosa ed è destinata a ridursi nei prossimi anni, mentre le interruzioni della catena di approvvigionamento a seguito della politica cinese zero-Covid hanno indotto a recenti richieste di reshoring della produzione. Se in Cina la ‘prosperità comune’, promossa dal governo, trova incrementi salariali imposti a livello centrale che superino di gran lunga la produttività, allora potrebbero verificarsi un fenomeno più problematico e di impatto allargato. Ci sono molti esempi di mercati emergenti, in particolare in America Latina, che hanno spinto i salari più in alto dei livelli giustificati dalla produttività, un aumento del costo del lavoro che ha storicamente causato un deterioramento della competitività verso l’esterno, con conseguente sostituzione con le importazioni e contrazione dell'industria domestica. In questo scenario è probabile che i differenziali di costo provochino uno spostamento della produzione verso i mercati più competitivi, come in Asia per Vietnam e Bangladesh. Nei paesi sviluppati la vera sfida alle produzioni fuori del proprio paese riguarda i nuovi modelli di automazione che stanno permettendo di mantenere e in molti casi riportare la produzione in loco.

Leggi la ricerca selezionata da R&CA cliccando sul seguente link:

Is China about to become a source of global inflation?


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